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Nonprofit e privati: quando nuove strade diventano necessarie

Nonprofit e privati: quando nuove strade diventano necessarie

In un mio commento ad un recente articolo del consigliatissimo blog di Riccardo Friede ho espresso il mio parere su un problema complesso riguardante il terzo settore. L’opinione diffusa che il nonprofit non sia un settore lavorativo che ha bisogno di una sempre più elevata professionalità ma un campo aperto in cui ci si debba muovere prevalentemente secondo gli schemi del volontariato. Tale percezione è un danno permanente per chi opera nel terzo settore e a volte può essere frustrante. Nel mio intervento ho identificato i tre principali fattori alla base di questa situazione: Politica debole di informazione e sostegno intorno al mondo nonprofit da parte delle istituzioni. Idea di intervento per l’inclusione sociale basato sulla carità. Scarso investimento in innovazione, comunicazione e raccolta fondi da parte delle stesse organizzazioni nonprofit. Consiglio a tutti di approfondire la questione leggendo l’articolo e non voglio ripetermi sulla questione. Quello che qui mi interessa è approfondire il terzo punto proponendovi un esempio pratico che ho avuto modo di conoscere durante una mia recente missione in alcune favelas brasiliane.

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Kony 2012, la campagna virale di Invisible Children

Kony 2012, la campagna virale di Invisible Children

Kony 2012 è la campagna di Invisible Children diventata virale in meno di 3 giorni dalla prima data di pubblicazione del suo video su Internet. Il filmato, girato da Jason Russel e pubblicato per la prima volta sul Web l’8 Marzo, grazie ad una potente strategia di marketing virale è stato visto da più di 65 milioni di persone, ricevendo oltre 200 video replica e più di 500.000 commenti soltanto nei suoi primi 4 giorni di vita. Il progetto Kony 2012 prende vita nel 2012, quando Jason Russel, insieme ad altri colleghi e co-fondatori della ONG, si recano in Uganda con lo scopo di mettere fine al muro di silenzio e ignoranza creatosi attorno alla figura di Kony. Al ritorno dall’Uganda, Jason e i suoi colleghi non perdono tempo e tentano di coinvolgere personaggi famosi, politici e lo stesso presidente degli Stati Uniti Barack Obama. La questione, piena di risvolti delicati, diventa sempre più complessa e assume subito un carattere mondiale.

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Perché fare un blog nel Non profit? Ecco 16 buone ragioni

Perché fare un blog nel Non profit? Ecco 16 buone ragioni

Un paio di giorni fa pensavo: “Perché le organizzazioni non profit dovrebbero avere un blog?”. All’inizio mi è sembrata una domanda banale ma pensandoci bene non lo è affatto e ho deciso di dedicare un post alla questione. Del resto gli stessi responsabili delle organizzazioni non profit con cui quotidianamente ho a che fare mi guardano con aria interrogativa quando gli propongo l’apertura di un blog. Tuttavia il tema dei blog non profit non è banale per due semplici motivi. Il primo è che la grande maggioranza delle organizzazioni non profit in Italia non ha un blog. E questo è vero soprattutto per le piccole e medie organizzazioni (quindi la quasi totalità), quelle più radicate sul territorio e meno attive nell’etere. Da un lato ci sono poche risorse a disposizione; dall’altro manca il capitale umano per stimolare l’innovazione; infine, credo che l’investimento nella comunicazione e nel marketing sociale non sia ancora un elemento strutturale della cultura del non profit italiano. Il secondo motivo è che il blog resta lo strumento di comunicazione e networking più potente che si possa trovare in rete nonostante nascita e diffusione dei social networks. Al contrario, i social media hanno dato vigore e nuova estensione

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